Sinba: la fiaba del fallimento
Come spiegare al proprio figlio il fallimento della propria startup? Con una fiaba, ovviamente.
A raccontarla è Andrea Visconti, 30enne di Torino che abbiamo conosciuto nel luglio del 2015 grazie alla sua partecipazione a Shark Tank, il programma di talent scouting di startup innovative che è andato in onda su Italia1.
Andrea insieme al suo socio Alessandro Bava, hanno presentato davanti agli imprenditori e investitori che costituivano la “giuria” della trasmissione Sinba, la sua startup fintech che aveva brevettato un sistema di pagamento veloce che prometteva di abbattere le code alle casse dei negozi.
L’idea aveva convinto gli investitori che avevano deciso di dargli fiducia e concedergli 250mila euro di finanziamento. Quei soldi, però, non sono mai arrivati, a quanto detto dallo stesso Andrea, sembra per problemi sorti in sede di due diligence.
L’unico finanziamento ricevuto da Sinba è stato quello di 100mila euro da parte di H-Farm che ha acquisito in cambio l’8% della società.
E così Andrea e Alessandro hanno deciso di rinunciare, di fare un passo indietro e dichiarare apertamente il fallimento della propria startup.
Visconti, però, si è trovato davanti al problema di doverlo dire al proprio figlio ed ecco che, come racconta nel video che ha pubblicato su YouTube, si è inventato una fiaba.
Una storia fantasiosa in cui i due protagonisti, Desi e Gioi, tentano di raggiungere l’altra parte del mondo con lo scopo di consegnare uno scrigno magico, ma i soldi necessari all’impresa, promessi dai re incontrati nel loro girovagare, non arrivano e quindi Desi e Gioi rinunciano alla loro impresa, con la promessa, però, di ripartire presto per un nuovo viaggio.
I motivi del fallimento di una startup
Non è facile trasformare un’idea in un’impresa, questo è certo, ma i motivi del fallimento di una startup possono essere articolati e molteplici.
L’errore più grande che si possa fare è quello di mancare di focus e, quindi, di non sviluppare un business plan efficace e chiaro che preveda i diversi step di sviluppo della startup e conduca alla monetizzazione del prodotto o del servizio.
Anche la poca flessibilità, però, può essere un’arma piuttosto pericolosa. Il business plan, infatti, deve poter evolvere in funzione del contesto e delle esigenze del mercato.
E proprio dal mercato arrivano i feedback più importanti: non ascoltare gli utenti, non cercare di cogliere le esigenze dei potenziali clienti ed essere sordi a qualsiasi stimolo provenga dall’esterno è un’altra possibile ragione di fallimento.
È importante, poi, scegliere bene il team e assicurarsi che ogni membro abbia una vera e autentica passione e creda in ciò che fa. Possibilmente anche gli investitori dovrebbero avere lo stesso livello di coinvolgimento in modo che tra loro e i fondatori sorgano meno contrasti possibile.
Attenzione, inoltre, a tempistiche di rilascio, ai prezzi del mercato o all’eventuale saturazione dello stesso.
I fallimenti più clamorosi
Non solo le “piccole” startup falliscono.
Tra gli insuccessi che hanno suscitato più clamore possiamo ricordare sicuramente Jawbone, la startup statunitense che aveva creato dispositivi wearable quando ancora tale mercato era appena nascente e, dopo dopo aver ricevuto quasi 600 milioni di dollari di finanziamenti dal 2006 a oggi, ha chiuso i battenti proprio quest’anno.
Sempre nell’ambito dell’healthcare operava Sense, dispositivo creato da Hello, che monitorava il sonno senza essere indossato. Nonostante un finanziamento di 40,5 milioni di dollari, e una valutazione tra i 250 e i 300 milioni, anche questa startup ha dovuto arrendersi aspettando un compratore.
Celebre anche il caso di Yik e Yak che aveva intuito già tempo fa il potenziale dei messaggi anonimi, ma dopo molte difficoltà ha dichiarato fallimento nonostante un finanziamento di 73,5 milioni di dollari.
Le buone idee e i finanziamenti, dunque, non sono sufficienti per fare di una startup un brand di successo.